Ho sempre considerato questo blog
come un esperimento di laboratorio a basso costo, orientato ad un’attività che
mi diverte e gratifica in modo particolare come il self-deprecating writing. C’è chi va a pescare e chi pratica il self-deprecating writing, e a me le trote
non abboccano mai.
Scrivere e creare, avanzare
pretese artistiche, è già di per sè morbosamente narcisistico e lo stesso atto
di digitare sulla tastiera del computer l’espressione “morbosamente
narcisistico” è morbosamente narcisistico. Per non parlare di quando si sceglie
di ripetere una terza volta i termini “morbosamente” e “narcisistico” senza
nessun fine particolare, se non quello di provare a raggiungere nuove vette di
solipsismo.
Di per sè, non aggiornare il blog
per un paio di mesi o, piuttosto, aggiornarlo di nuovo dopo un paio di mesi senza nulla di rilevante da raccontare va
contro tutte le regole dell’internet di successo. Però avevo voglia di gettare
via un pò di inchiostro virtuale e scrivere parole come “palingenesi”, anche se
mi viene difficile pensare a come inserirla in un contesto. Diciamo che questa
è la palingenesi del mio blog, oppure
che oggi ho avuto una pesantissima palingenesi
dopo colazione. Scegliete voi.
Arriviamo a un punto? Arriviamo a
un punto.
Dal momento che non so cosa dire,
e forse è solo perchè in questo periodo ho molto da fare, mentre prima avevo
poco da fare e tanto da dire, vorrei parlare del perchè scrivo su un blog.
Anzi, del perchè riprendo oggi a scrivere su un blog: in fondo, il cadere può anche non essere un atto
volontario, ma il continuare a giacere per terra è solo colpa mia.
Forse scrivo perchè le tragedie
di questa vita hanno il potenziale per diventare aneddoti divertenti nella prossima;
e se poi il pensiero di un’altra vita dopo questa si rivelasse solo
un’illusione, continuerebbe a essere divertente. Solo, lo scherzo lo avrebbero
fatto a noi. Siamo tutti potenzialmente comici, e diventa sempre più divertente
man mano che invecchiamo.
Qual è il più comune, generico e
diffuso pensiero filosofico del mondo?
Risposta: la vita è una,
dopodichè muori.
Investiamo la nostra fede in
questo e quello, confidiamo nella terra delle caramelle, dell’albero della
cuccagna e del coniglietto pasquale, ma potrebbe essere più semplice di così:
potremmo sempre finire in una bara e restarci per l’eternità.
Se è questo il caso, ci è
imposto, moralmente imposto, di provare a fare tutto quello che vorresti fare
nella vita. In un mondo dove esiste la morte, è eticamente vietato non mettersi
in gioco nel provare a seguire la propria vocazione più imbarazzante, inconfessabile
e utopistica. Mi rendo conto che l’ultimo paragrafo suona come un incrocio tra
il comizio di Walter Veltroni e una puntata di Glee, ma è anche quello che penso.
Per quanto mi piaccia provare a “strofinare insieme” le cose divertenti e le cose struggenti per ottenere
risultati scomodi, magari sgradevoli ma significativi per ciò di cui voglio
parlare, credo che per un istante, per qualche riga, diventerò spaventosamente
intimo.
Quando è morta mia nonna materna,
ero solo in casa. Di mattina presto, mi arriva una telefonata di mio padre per
avvisarmi della cosa. Io assimilo la notizia, guardo che ora è sul cellulare e
torno a dormire. Mi sveglio due ore dopo, triste ma riposato. Infilo la mia maschera
di solenne cordoglio e vado a lavarmi i denti.
A qualche chilometro di distanza,
mia madre non dormiva da giorni, e non dormiva bene da settimane. Si aspettava
come chiunque altro che mia nonna sarebbe morta da un momento all’altro.
Ma quando quel giorno ho rivisto
mia madre, aveva l’espressione più spaventata che io abbia mai visto addosso a
un essere umano. Avevo già visto mia madre piangere prima di allora; diamine,
avevo fatto piangere mia madre prima
di allora, l’avevo vista commuoversi ascoltando “La Donna Cannone” di De
Gregori e l’audiocassetta de “Il Piccolo Principe” durante i viaggi in
macchina... ma questa volta era diverso. Era più terrore, paura paralizzante,
quasi se la vita in pericolo fosse stata la sua, se avesse avuto una pistola
puntata alla tempia.
Quando, minuti dopo, avevo
chiesto informazioni a mio padre su come mia nonna se ne fosse andata, ricordo
che mi aveva solo detto: «non è morta bene». Tempo dopo, avrei appreso racconti di
deliri notturni causati dai farmaci contro il dolore; quadri che mi vergogno a immaginare e che non oso provare a
ricostruire per la paura di sembrare sadico. Più che altro rabbrividisco al
pensiero di mia madre sola nella stanza di ospedale, che assiste sua madre
nelle sue ultime ore.
Persino le persone più in gamba del
mondo non sono esenti dal rischio di morire male. Chiunque può giocare bene
tutte le sue carte nella vita, può fare ciò che deve e contribuire al bene
degli altri e di sè stesso, ma...
... ogni brav’uomo di questo mondo
rischia comunque di andarsene urlando. Questa è la vera ragione fondante del
perchè ognuno di noi dovrebbe dar retta ai suoi sogni più sfrenati e
improbabili: diventare uno scrittore, fare un film o telefilm o un fumetto o un
podcast o qualsiasi stupidaggine si possa immaginare, come scrivere su un blog.
Vale la pena di inseguirli tutti e non c’è una vera ragione per non farlo.
Per quanto ami far finta di esserlo,
odio il cinismo. Non porta da nessuna parte ed è inutile: in particolare verso
le attività creative, artistiche o pseudoartistiche, la più immediata risposta
consiste nel chiedersi: «perchè?
Perchè scrivi su un blog? E' un’idea
stupida! »
Nel cimentarmi con le mie stupide,
infantili ambizioni artistiche, mi piace circondarmi di “Perchè no?”. E se anche
devo riconoscere che alcuni tra i miei sogni sono cose stupide o irrilevanti, è
anche vero che non si possono sempre scalare montagne. Ogni tanto può aver
senso realizzare una cosa piccola come due o tre pagine di microsoft word che ti
rendano meno self-deprecating per
qualche ora.
Grandi o piccole, cappelle sistine o
fashion blogs, inseguire tutto. Perchè tutti moriremo urlando, e tanto vale
divertirsi finchè siamo qui: correre dietro ai propri sogni qualunque essi
siano.
A meno che non siano roba come «il mio
sogno è violentare dodici bambini!». Se è il vostro caso, non sto parlando con
voi. Noi non ci conosciamo.
Ma tornate presto a trovarmi qui sul blog.
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