Sto pensando di promuovere «E ora qualcosa di completamente diverso» al rango di rubrica fissa; un pò come quella su come salvare il mondo, ma più utile.
In effetti, un blog (segue suono gutturale di bile che sale) che si rispetti non può non riservare un angolino per le recensioni. Soprattutto se ciò significa togliere spazio alle deliranti elucubrazioni pessimistiche che ogni tanto si manifestano qui sopra, spesso anticipate dall'apparizione di un invadente coniglio immaginario.
Un paio di film visti tra l'inizio 2011 e il 34esimo anniversario dell'uscita al cinema di Guerre Stellari:
Super, di James Gunn
Decisamente il mio film preferito di questa prima parte di anno. Il lavoro precedente di James Gunn, un horror a bassissimo budget di nome Slither che non si è filato nessuno, era già un mezzo capolavoro; con Super, il regista produce un'opera complessa, disturbante e spudoratamente provocatoria, ma mai in modo fine a sé stesso.
Mascherato da commedia sui supereroi, con annessi personaggi strambi che si comportano in modo buffo, Super è di fatto un'indagine cruda e realistica sulla psicologia umana, oltre che un discorso tutt'altro che banale su cosa significhi “vocazione religiosa”. In cosa si distinguono effettivamente una discesa nella follia, un comportamento sociopatico da una “chiamata del Signore” e un desiderio spontaneo di fare del bene?
Il genio di Super sta dunque nel discorso quasi filosofico che è in grado di imbastire, già a partire dalla sua premessa. Ma è anche la messa in scena, pur nella ristrettezza del budget del film, ad essere qualcosa di assolutamente originale ed affascinante: l'estetica da fumetto e da cartone animato diventa improvvisamente minacciosa, capace di sconvolgere con esplosioni di violenza surreale. In sostanza, Super è cultura pop che si mescola a disquisizioni psicologiche e teologiche; personalmente non potrei chiedere di meglio da un film.
Four Lions, di Christopher Morris
Four Lions sembra un film scritto dai Monthy Python per il genere di umorismo che contiene, sembra scritto dal miglior Ken Loach per la denuncia sociale e i temi che è in grado di portare avanti e sembra scritto da Edgar Wright per il suo tono grottesco e al contempo credibile. Invece è scritto e diretto da tal Chris Morris, alla sua opera prima, ed è una commedia deliziosa e molto divertente, oltre che un film piuttosto coraggioso nel suo messaggio e nel modo di comunicarlo.
La storia racconta le imprese tragicomiche di un gruppo di giovani inglesi che hanno abbracciato la causa fondamentalista islamica, e tentano di organizzare un attentato: gli intenti satirici sono immediatamente evidenti, ma l'atto di accusa che il film porta avanti non impedisce all'autore di creare personaggi complessi e caratterizzati in modo perfetto: per quanto si comportino in modo assurdo e le conseguenze delle loro azioni diventino sempre più disastrose, non manca un sentimento di empatia e coinvolgimento nei loro confronti, come solo un personaggio ben scritto può suscitare.
Drive Hangry, di Patrick Lussier
Okay. Ho esordito con recensioni di due film dalle indubbie pretese autoriali ed ora posso smetterla di fingere gusti più raffinati di quelli che ho, e parlare di un film in 3D con Nicolas Cage che spara.
In realtà non c'è troppo bisogno di parlarne per convicervi a vederlo: Drive Hangry (letteralmente, “Guidare incazzati”) è un filmaccio d'azione di serie B in cui Nicolas Cage deve salvare sua nipote dalle grinfie del Demonio e del suo ragioniere, interpretato magistralmente da William Fitchner. Del cast fa parte anche la bionda dell'ultimo film di Carpenter, e questo conferisce ulteriore credito al tutto. L'operazione del film è riuscita a metà: i presupposti per esagerare, cadere nel trash e fare qualcosa di molto divertente sono tutti al loro posto, ma molto dell'umorismo di cui un prodotto simile avrebbe bisogno non è all'altezza della situazione. D'altra parte, ruoli del genere in mano ad attori come Cage e Fitchner sono sempre una buona idea, ma l'impressione è che lo stesso materiale in mano ad un regista più consapevole e dalla più acuta sensibilità trash (alla Rodriguez, per esempio) avrebbe dato vita ad un film memorabile.
Enter The Void, di Gaspar Noé
Il film è del 2009, ma inedito in Italia; l'ho dunque recuperato solo da poco, dopo aver letto commenti entusiastici che lo trattavano praticamente come il miglior film di tutti i tempi. Per quanto esagerate, quelle recensioni non erano troppo lontane dalla realtà: nel guardare Enter the Void, ho avvertito sensazioni simili a quando vidi Requiem for a Dream per la prima volta; uno dei paragoni più lusinghieri che potrei mai fare.
Prima di tutto, ho pensato che mi trovavo di fronte ad un'opera d'arte, ad un film di impatto fortissimo e con idee visive straordinarie. In secondo luogo, ho capito immediatamente che i suoi contenuti erano di quelli che “tengono compagnia per un pò”, infastidiscono e sono digeriti a fatica.
La storia ruota intorno al rapporto tra un fratello e una sorella, lui spacciatore e lei spogliarellista, e alla loro vita insieme a Tokio; la narrazione è frammentaria e si articola in un viaggio all'interno dei ricordi del protagonista.
In realtà è davvero impossibile separare ciò che il film racconta dal modo in cui lo fa: in entrambi casi, gli elementi fondamentali sono l'allucinazione, lo straniamento e la percezione alterata della realtà. Enter the Void è quasi ipnotico nella modalità espositiva, parla più per immagini che per dialoghi ma usa in modo notevole anche la musica. Non si trattiene nell'essere esplicito e talvolta estremo, ma non l'ho mai trovato volgare o gratuito: le scelte su cosa mostrare e cosa lasciare sullo sfondo sono coerenti con il film ed i suoi contenuti. Sicuramente non è un prodotto per tutti: per quanto mi sia piaciuto credo che possa arrivare in modo differente, e drasticamente peggiore, a sensibilità diverse dalla mia.
Qui sotto i suoi titoli di testa, decisamente originali ma anche estremi e frastornanti, un po' come é Enter the Void nel suo insieme.
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