lunedì 4 luglio 2011

Fare un solitario alla roulette russa

Sapete , credo di aver perso (metaforicamente parlando) molte battaglie nella mia vita. Ma credevo di non aver mai perso traccia della guerra. In questo periodo mi domando sempre più stesso dove sia finita, dove si sia spostato il fronte e se di guerra ve ne sia davvero una.

Non sono mai stato il genere di persona capace di mostrare il coraggio e la fermezza necessari per decidere, senza condizionamenti esterni, di collaborare nel forzare un blocco della polizia, lanciare sassi contro agenti anti-sommossa e ricevere ventate di lacrimogeni in faccia. Persino nei momenti di somma rabbia e coinvolgimento emotivo, non sono mai riuscito a saltare adeguatamente dal pensare di agire all'agire effettivamente.
Sono un pacifista, o quantomeno il pacifismo mi é sempre sembrata una cosa molto più sensata delle apologie della violenza, in ogni sua forma. Se ti siedi un secondo e ci pensi, la violenza è praticamente sempre una scelta demenziale e controproducente: basta usare una frazione di cervello per capire che la pena di morte é indifendibile o che la tortura é immorale.
D'altra parte, chi lo sa se sono pacifista perchè ci credo davvero o solo perchè mi viene più facile: non ho mai dato un pugno a nessuno in vita mia, ma questo dipende dal fatto che non sono mai stato costretto a fare a botte, non che lo ritenga sbagliato a priori. Cosa ne sarebbe di tutti i miei supposti valori, se un giorno fossi direttamente coinvolto in una situazione che richiede, come estrema soluzione, l'uso della violenza?
Prospettiva tutt'altro che astratta, visto che questo post (post cosa? Post mortem, post-it? No, post e basta) é scritto con l'intenzione di chiarirmi le idee in merito al “casino della no-tav”, e con l'aspirazione di elaborare una posizione in cui mi trovi a mio agio, tra il non poter passare sopra le modalità della manifestazione ed il pensare che se una cosa é tanto delegittimata da un ampio movimento di protesta forse in fondo non si dovrebbe andare avanti a farla.
Io non sono no-tav; ciò non significa che sia pro-tav, e per il momento la mia opinione in merito é confinata dentro questo comodo limbo di indecisione. Non sono abbastanza informato per parlare con cognizione di causa e non lo sono di certo a tal punto da decidere di schivare cariche e lacrimogeni pur di dimostrare come la penso. Mi deprime non avere più quel genere di entusiasmo, quando fino a pochi mesi fa ero disposto a tutto o quasi per unirmi al primo coro di sdegno di cui mi andava a genio il suono.

Credo, ad un certo punto, di essermi perso per strada: forse ho tenuto gli occhi chiusi per qualche istante di troppo, ma improvvisamente i contenuti del dibattito politico si sono trasformati in «Berlusconi merda» o «È vero perchè lo ha detto Beppe Grillo». Le battaglie che valeva la pena affrontare sono drasticamente scese di numero ma il mondo continua a fare piuttosto schifo. La retorica del “ribelle senza una causa” comincia a suonare convincente, mentre le stesse masse nelle quali provavo piacere a confondermi si buttano a pesce dentro sfilate contro Israele o contro la Tav.
Ecco, la questione della tav é un po' come la questione del conflitto israelo-palestinese: nessuno ci capisce davvero un cazzo, ma c'è una massa accogliente di persone che ti convincerà di una cosa o dell'altra. Il mio problema resta: chi ha convinto tutte queste persone? È legittimo auto-proclamarsi “di sinistra” e poi non avere le idee chiare, pensare che dichiarare il proprio odio verso Israele sia incredibilmente stupido o essere tiepidi nei confronti della protesta contro la tav?
Sono davvero tutti più intelligenti, socialmente impegnati ed informati di me sull'argomento, oppure preferiscono mostrare di appartenere a qualcosa invece che restare ribelli senza una causa?
Prendere a sassate la polizia in un nome di un ideale può essere legittimo, se quell'ideale è una roba come... che so, la libertà o la liberazione dal fascismo. Ma può esserlo se la questione riguarda un treno?
Dovrei essere contento se una fetta rilevante di opinione pubblica è accesa da tematiche serie, come il dibattito sul nucleare, l'acqua pubblica o l'impatto ambientale dell'alta velocità in una valle, e dovrebbe farmi piacere che la gente trovi le motivazioni per uscire di casa, manifestare e, di quando in quando, fare a botte. Ma l'ultimo punto proprio non lo digerisco, perchè sento che non ne vale quasi mai la pena.

Non è mai facile scrutare dentro un movimento che in larga parte è pacifico, civile e moderato e decifrarne gli elementi che lo fanno degenerare. Serve perspicacia e allenamento, ma bisogna assolutamente farlo. Il mondo è pieno di catastrofi potenziali da evitare, battaglie degne di essere combattute, impegni seri da prendersi, e la mia generazione ha di fronte a sé uno sterminato campo di battaglia, lungo e largo quanto il maledetto pianeta.
Pur con tutte le mie indecisioni, i miei dubbi e la mia pigrizia nel prendere posizione, penso di avere un significato e un ruolo da recitare. Sono parte attiva di ciò a cui scelgo di partecipare, ma non sarò mai un mezzo; un individuo autonomo e senziente non dovrebbe mai esserlo, né dovrebbe esserlo una generazione.
Assumersi responsabilità politiche e sociali per il gusto di farlo, inseguendo la finta virtù che deriva dall'appartenere a qualcosa, è stupido e masochistico quanto fare un solitario alla roulette russa, e qui ho perso ufficialmente le redini della mia metafora. È la stessa frustrazione pseudo-adolescenziale che ti fa sentire quello stupido, artificiale senso di libertà: la felicità nell'essere una voce dello stesso coro.