lunedì 20 febbraio 2012

Un fondamentale studio del superfluo

Un  paio di anni fa ero in erasmus ed affrontavo le solite conversazioni con persone appena conosciute: le classiche chiacchiere di circostanza riguardo al “cosa studi”, “cosa fai nella vita” e questa specie di cose. Per nove mesi, sono sempre rimasto l’unico stronzo a studiare filosofia all’interno di un manipolo di futuri avvocati, medici e ingegneri. Nessuno ha mai stimolato in me una riflessione seria sul perchè studiassi quello che studio, quindi non avevo mai risposto alla domanda con altre intenzioni se non quella di sostenere una conversazione leggera e casual (non proprio una delle mie abilità innate, tra l’altro).
Ma una sera qualcuno mi ha chiesto: “secondo te, la filosofia è un fondamentale studio del superfluo oppure un superfluo studio del fondamentale?”
“Et bien je pense que.. quoi? Il s’agit de ff... je trouve que.. ah, j’n sais pas”, risposi all’epoca nel mio eccellente francese .
Stamattina mi è tornata in testa quella domanda e vorrei rispondere. Tanto lo so che sei laggiù da qualche parte e NON mi stai leggendo, ragazza che me l’ha chiesto due anni fa. E non mi ha nemmeno lasciato il numero a fine serata.
Se dovessi far ricadere la pratica di studiare filosofia in una delle due definizioni, probabilmente sceglierei la seconda: superfluo studio del fondamentale. Non ho mai smesso, nemmeno nei periodi in cui mettevo in discussione la sensatezza della mia carriera universitaria, di credere alla sacralità intrinseca dei contenuti racchiusi nella concezione comune di “filosofia”: non vi è nulla al mondo di più concreto, più reale e più fine a qualcosa, più vicino al mio ideale di spendere tempo sfruttando il mio cervello per il suo potenziale. Sono convinto che la filosofia sia fondamentale: ma potrei forse pensare che studiarla è superfluo, e in questo momento, all’inizio della mia riflessione, sono indeciso sul come concluderò.
Forse potrei partire da un’altra prospettiva: fare un esperimento e provare a comporre qualcosa di simile alla definizione opposta: redigere un fondamentale studio sul superfluo. Ma, esattamente, su quale oggetto o materia superflua dovrei concentrarmi nel mio studio fondamentale?
Cercando “fondamentale” e “superfluo” insieme su google, tra una pagina su Fichte, una su Manzoni e un pezzo sugli attrezzi da cucina, verso pagina 5-6 esce fuori questa roba: 

di cui si dà il caso che io abbia visto il primo e il quarto film. Ed ecco un argomento superfluo su cui io potrei avere qualcosa di fondamentale da dire. Per rispondere ai miei interrogativi sulla vera natura dello studiare filosofia, riempirò qualche riga parlando di cosa ne penso di Twilight. Non fa una piega.  
(Il mio coniglio invisibile si scusa in anticipo)
Cosa ho imparato da Twilight – un fondamentale studio del superfluo
Twilight è, senza grossi dubbi, la più grande e feroce metastasi abbattutasi su letteratura, cinema e cultura popolare degli ultimi anni. Parlarne male o analizzarlo criticamente è un pò come prendersela con un ragazzino con un grave handicap mentale; potrebbe quasi fare tenerezza, se ci si dimenticasse per un attimo del genere di messaggio che lancia. Ma come una piccola, superflua accelerazione nella riproduzione cellulare, Twilight è un tumore che si diffonderà negli anni a venire sopra l’immagine collettiva delle relazioni e del modo in cui la donna dovrebbe rapportarsi all’uomo.  E non è diseducativo in quella maniera fica e divertente come... GTA, che secondo i critici della pagina culturale di Repubblica doveva farmi diventare un maniaco sessuale da grande. È diseducativo in quella maniera subdola e disgustosa come... la propaganda integralista religiosa. Ecco cosa ho ricavato, come idee generali, dopo la mia esperienza diretta con Twilight (e dopo la ricerca sul campo necessaria per scrivere questo pezzo; io sono un professionista).
Non sei nessuno senza un uomo
L’essenza della protagonista di Twilight, Bella, è letteralmente definita dalle sue relazioni con gli uomini. Non è qualcuno, ma piuttosto qualcosa da contendersi e passarsi a vicenda come una canna al concerto dei Grateful Dead. Non si parla mai, da nessuna parte, dei suoi interessi, le sue ambizioni o quello che vuole fare da grande; neanche un hobby piccolo piccolo. I suoi sogni per il futuro riguardano il suo fidanzato e questo è quanto; non un accenno a una carriera o a un percorso di studi. La considerazione di Bella è totalmente relativa al suo status di “fidanzata” e ne dipende la sua stessa autostima. Tanto che, quando crede di essere stata lasciata, Bella è l’equivalente emotivo di questo

al punto di manifestare istinti suicidi per colpa di una relazione vecchia meno di un anno.
Prima di innamorarsi di Edward, Bella si considera bruttina, inpopolare ed inutile; il giudizio di valore su sè stessa dipende solo dall’interesse che manifesta in lei un uomo. Certo, dal punto di vista di Bella (o di chi sta leggendo) quest’idea è rappresentativa del brivido di piacere che si prova quando si incontra qualcuno capace di guardarci al di là dell’aspetto esteriore, qualcuno abbastanza percettivo e sensibile da trovare pregi che neanche noi sapevamo di possedere. Ma consegnare completamente le lenti dell’autostima nelle mani di qualcun altro, piuttosto che mantenerne il controllo, è il classico errore che si compie quando si stabilisce una relazione opprimente, pericolosa o tendente all’abuso. La differenza percepita tra i due componenti della relazione (Edward è perfetto, Bella sta più in basso del buco del culo di un serpente) fornisce a lui ascendente, controllo e predominio su di lei.
Non c’è assolutamente niente di strano in un adulto che vuole uscire con una sedicenne
Questa è una delle cose che passano più inosservate in Twilight, ma Edward, il vampiro protagonista, è un adulto, anzi un anziano, che tende a passare un sacco di tempo a scuola, in mezzo a ragazzini. Ed è interessato a una donna che ha qualcosa come un decimo dei suoi anni: il genere di moventi per cui si finisce in prigione o si è eletti in parlamento in Italia.
l'Edward Cullen italiano

Certo, il corpo di Edward ha smesso di invecchiare e sembrerà per sempre un diciassettenne; ma la sua mente invecchia, e tempo ed esperienza sono in definitiva ciò che qualifica il “diventare adulti”. Edward ha 100 e passa anni di esperienza in più rispetto a Bella, e l’arco di tempo della sua vita comprende una guerra civile, 2 guerre mondiali, la Grande Depressione, la guerra fredda, il ’68, l’assassinio di Kennedy e l’uscita al cinema del primo Guerre Stellari. Il momento più significativo della vita di Bella è un trasloco.
Se si è davvero interessati a Twilight, si passerà oltre tutto questo armati di una decisa sospensione dell’incredulità. Che cavolo, è un fantasy. Il problema è che a un certo punto un personaggio si innamora di un neonato. E nessuno dei presenti sembra avere alcun problema al riguardo.
Amore = maltrattamento
Ed ecco il nucleo del mio fondamentale studio, la cosa che più mi ha ghiacciato il sangue nelle vene mentre guardavo Twilight, mentre mi rendevo conto che con quel nome si riassumono quattro libri e cinque film su quanto sia desiderabile una vita di coppia in cui ci sono aggressioni e maltrattamenti. Insomma, quando si parla di pessime idee tratte da brutti libri o brutti film Twilight è il figlio post-atomico di Frankenstein e Godzilla.
Nel corso della serie, Edward attenta alla vita di Bella, minaccia di farle del male o ucciderla, vandalizza proprietà privata quando è arrabbiato, prende ogni decisione per entrambi e tenta in tutti i modi di isolarla dagli altri – in particolare da Jakob Black, il suo rivale in amore. La scaglia contro un tavolo di vetro e fa sesso in modo così violento da riempirla di lividi e costole rotte. Spinge la loro relazione più lontano e più veloce di quanto chiunque sarebbe disposto ad accettare e, dal momento che decide che stanno uscendo insieme, Bella trascorre quasi ogni momento libero in sua compagnia. Irrompe in casa della ragazza per guardarla dormire e la segue di nascosto ovunque vada. Ma va tutto bene... perchè la ama.
Ogni oggetto di quest’’elenco è un segno di violenza domestica o comportamento violento in una relazione. Ma va tutto bene, Edward non farebbe mai del male a Bella... intenzionalmente. Non può farci niente se lei gli fa venire voglia di farle del male (per via del suo sangue super-invitante ecc).
giustificate situazioni di violenza domestica

In aggiunta a tutto questo, Bella accoglie letteralmente questi segnali di abuso domestico come dimostrazioni dell’amore di Edward. Spesso i due personaggi sono paragonati agli Heathcliff e Cathy di Cime Tempestose, a mio avviso in modo piuttosto preciso; nel romanzo di Emily Bronte, Heathcliff è un sociopatico violento.
Ricordate quanto ho detto prima sulle ambizioni per il futuro di Bella? Sono nell'ordine:
  1. sposarsi;
  2. perdere la verginità;
  3. avere il collo azzannato da un vampiro e passare l’eternità da adolescente, bevendo il sangue degli innocenti e rifuggendo ogni socialità esterna al nucleo familiare;
  4. fare tanti figli;

Il punto 3 è sostanzialmente un desiderio di morte violenta per mano di Edward. Ed è la destinazione finale delle situazioni di violenza domestica, che Twilight consciamente giustifica e promuove. In aggiunta a uno sbandierato incitamento, ad indirizzo del genere femminile, ad incentrare la propria identità sull’essere moglie e madre, e nient’altro che questo.
L’influenza di un’opera di fiction si avverte sempre nella società, ed è per questo che...
Oh insomma, lasciamo stare. Siete ancora qui a leggere? Mi sembra di aver già scritto fin troppo per oggi!
Dite quello che volete sulla sensatezza nel voler indagare solo il fondamentale a discapito del superfluo, ma io continuo a ritenerlo spaventoso e vile, come un vampiro che luccica al sole invece di bruciare.




giovedì 2 febbraio 2012

Se c'era un piano, non sta funzionando

Tra il 16 e il 24 maggio del '44 più di centomila ebrei ungheresi sono stati uccisi nelle camere a gas di Auschwitz.

Ogni tanto è utile cominciare da una brutta notizia per mettere bene in prospettiva le cose e riflettere sul fatto che, fino ad un istante fa, si intendeva parlare di sé stessi. Dei propri problemi personali. Con che autorevolezza o credibilità potrei mai esordire scrivendo « da un po' di tempo mi sento depresso », quando la testa del lettore è ancora concentrata sull'immagine di corpi umani che sfrigolano nei forni di un campo di sterminio come patatine in padella?
E io di credibilità non voglio averne. Questo blog esiste da circa un anno e io non ho una carriera di scrittore, neppure una piccola piccola. Paolo Giordano ne ha una, e questo è un altro aneddoto deprimente quasi quanto quello su Auschwitz.
In fondo, si tratta di fare auto–terapia ed imparare ad accettarsi per quelli che si è: nazisti, Paolo Giordano, bloggers.
E con questo spirito, via al post sentimentale: sigla.


Secondo voi si possono fare battute sugli ebrei anche se non si è ebrei?
Secondo me sì, finchè c'è qualcuno, da qualche parte, che ride. Censurare la commedia per paura di offendere il prossimo sarebbe come rinunciare a prendere il bis del proprio piatto preferito per solidarietà a chi è appena morto di fame: entrambe le azioni sono fini a sé stesse e fondamentalmente innocue, ma entrambe sono sbagliate, uno le sente sbagliate prima di ridere, o riempirsi la pancia. Per me almeno è così.
Quando faccio il bis del mio piatto preferito, io mi sento in colpa. Però continuo a mangiare troppo.
E secondo voi si può essere amici di un razzista? Suppongo di sì, perlomeno in linea teorica... ma io ho dei problemi persino a relazionarmi con qualcuno che ammette di aver votato Berlusconi, che speranze potrei avere di sedare il mio senso di colpa quanto basta?

Ho un dannato senso di colpa che mi spinge a proiettare il mio disagio personale sopra tutti i lutti, le tragedie e le catastrofi di maggiore ampiezza di cui abbia mai avuto notizia. Perdo sempre il confronto, quindi mi sento ancora più in colpa per il fatto che sono a disagio. I lutti più significativi della mia vita sono la morte di tre nonni, con i quali tra l'altro ho avuto la fortuna di trascorrere molti anni insieme e della cui compagnia ho potuto godere a pieno. Sono fortunato, non c'è niente da fare. Certo che dispiace quando muore un nonno, ma i nonni muoiono, è nell'ordine delle cose. Non è che mi sia morta una sorellina tra le braccia o cose del genere. Nessun dramma e nessun trauma, nessuna grande guerra o grande depressione, giusto un po' di crisi economica.

Dovrei fare il mio lavoro ed essere rilassato nell'essere me stesso. Con le cose e le persone a cui posso aspirare, senza cercare di andare troppo oltre. Va bene avere ambizioni, ma fino al punto in cui non ti mangiano vivo se poi succede qualcos'altro di completamente imprevisto.
Dovrei essere me stesso perchè io sono quella persona seduta in quel posto che fa quella cosa. wow, l'ultima frase è un fulgido esempio di quanto sia brillante la mia capacità argomentativa; ora cerco di spiegarmi meglio. Here... we... go

Non mi sto lamentando di nulla, e il mio non è solipsismo. Sto solo dicendo che se hai un posto nell'universo, dovresti imparare a starci e fare bene quello che è previsto tu faccia. Qualunque cosa sia. Odio il cinismo e lo snobismo gratuito, ma mi rendo conto di essere un gigantesco esempio di atteggiamento cinico e disincantato verso la vita. Viviamo nella più incredibile e pazzescamente magica era della storia dell'umanità, un trionfo teatrale e magniloquente in cui la tecnologia ci risolve tutti i problemi e ci soccorre in ogni più piccolo aspetto della nostra vita. Voliamo seduti su una sedia in mezzo al cielo e ci lamentiamo se la nostra poltrona non è abbastanza reclinabile, piuttosto che essere travolti dal miracolo a cui stiamo assistendo. Abbiamo in tasca telefoni che mandano segnali nello spazio e poi li fanno ricadere su un altro cellulare dall'altra parte del mondo e ci irrita la lentezza di una connessione wi-fi.
Tutto è assolutamente stupefacente al mondo, ed è sprecato sulla generazione di individui più pingue, piatta, non-entusiasta e sostanzialmente stronza di sempre, che ha passato decenni a succhiare risorse di qua e di là senza fare grandi sforzi per quadagnarsele. È un'utopia tecnologica al servizio di lamentosi, non-contribuenti che non hanno mai aiutato nessuno. Non hanno mai sofferto la fame o il freddo, e se hanno mai messo piede ad Auschwitz è solo per poter mettere una foto in più su facebook.
E voi venite a dirmi che non dovrei sentirmi in colpa per il solo fatto di trovarmi qui e ora?
'Fanculo. La sapete quella sul negro che cammina con un coccodrillo al guinzaglio?