venerdì 9 dicembre 2011

Quietly waiting for the catastrophe

Now I'm quietly waiting for
the catastrophe of my personality
to seem beautiful again,
and interesting, and modern

da “Mayakovsky di Frank O'Hara

Ieri sera ho fatto un sogno erotico sulla moglie del premier, ma non ricordavo di quale premier e di quale moglie si trattasse. Non facevo tanto caso a ciò che stava succedendo, perchè ero distratto da un cameraman che riprendeva tutto e mi sventolava sulla faccia liberatorie finte da firmare con il sangue. Mi diceva che avevo vinto la partecipazione ad un reality show e da lì a pochi minuti sarei stato chiamato al confessionale; per confessarmi, essere assolto e finire in paradiso. Che poi è come andare in nomination. Se perdi il televoto muori, se vinci i tuoi peccati vanno in prescrizione.
Non credo più niente.

Ero fuori a cena in un ristorante lussuoso. Era tutto pieno, ho aspettato venti minuti che si liberasse un tavolo. La serata è stata un disastro, i camerieri interrompevano in continuazione la cena per dirmi che anche loro scrivono, anche loro sono degli artisti e vorrebbero sfondare nel mondo dello spettacolo. Hanno tutti un blog. Per qualche strana ragione, i camerieri pensavano che fossi famoso. Che fossi un vip. Mi chiedono se li metto in lista per venerdì sera.
Non credo più niente.

Venerdì sera sono in lista, e mi aggiro confuso per le stanze sfarzose di una villa. La cocaina appoggiata sulla tazza del cesso viene spazzata dalla colf filippina che l'ha scambiata per polvere: mi evoca una riflessione sulla profonda contraddizione della natura umana. Luccicare, brillare e sorridere come squali mentre si annega e ci si dibatte per liberarsi da una morsa: sono un soldato in missione, che spara con un fiore inciso sulla carne viva. Al posto degli occhi ho lo stemma della pace, ma sul mio elmetto c'è scritto « born to kill ». Sono generico in tutto, persino nelle metafore.
Non credo più niente.

Incontro il diavolo sulla strada di casa, ha le sembianze di qualcuno di familiare. Dice che io sono uguale a tutti gli altri e che devo pagarne il prezzo; è ragionevole, ma non ci credo. Io soffro per questa situazione, faccio tanti bei discorsi sul dramma dei disoccupati e ogni tanto vado persino alle manifestazioni. Mi sono detto: scrivere serve a qualcosa, può rivelarsi utile ad una causa. Non ho ancora deciso come o perchè, ma sarò un ribelle un giorno, lo so. Darò una sferzata al sistema cambiandolo dall'interno. Getterò i semi di quella tanto agognata discesa nell'anarchia di stampo platonico che mi ha sempre ispirato come animale politico. Sono già nato, in quanto scrittore dilettante, sul pianeta virtuale degli apparsi, dei 15 minuti di fama rigurgitati da una piattaforma multimediale che doveva in teoria liberarci, ma che in pratica ci ha fornito accesso 24 ore su 24 a pornografia infantile e poco altro. Sesso e Gesù sono le due parole più cercate di google. Due motori virtuali in un cosmo reale.
Non credo più niente.

Non credo più a niente... tranne che ad un indistinto sentimento di orribile, prossimo pericolo fisico. Un pericolo enorme, che grava su tutto, come lo si può concepire negli incubi più angoscianti. Bisbiglio come un folle avvertimenti o profezie che nessuno osa poi ripetere consapevolmente o soltanto ammettere di aver udito. La terra mi sembra oppressa da un mostruoso senso di colpa e dagli abissi fra le stelle soffiano gelide correnti che fanno rabbrividire gli uomini nei luoghi bui e solitari. Il corso delle stagioni ha subito un'alterazione catastrofica: il tepore dell'autunno indugia ad andarsene e sento che il mondo, forse l'universo, si è sottratto al controllo degli dei o delle forze conosciute ed è passato sotto il dominio di entità inimmaginabili.
Faccio finta di essere H.P. Lovecraft nell'Italia del domani. Non credo più niente.
Avrei voglia di pensare a come sarà il mondo tra molti anni, ma tutto quello che mi viene è l'immagine di uno stivale piantato sopra una faccia.
Non so proprio cosa farci, è più forte di me.