martedì 8 novembre 2011

Il principio di autoconsistenza di Novikov

Sapete di cosa sto parlando.
È quella vocina dentro la tua testa, che si preoccupa per te, ponendosi un giusto e sacrosanto interrogativo: sarò bravo abbastanza?
Non importa per cosa. Sarò bravo abbastanza?
Abbastanza da essere presidente del consiglio? Beh, magari non così bravo.
Abbastanza da poter campare di ciò che penso e scrivo? Mi sembra impossibile.
Abbastanza da meritare la quantità media di felicità di un essere umano comune?
Non lo so. La gente ha più o meno sempre pensato che sì, sono bravo abbastanza per quello.
Ma non è così facile come sembra. E soprattutto, non importa cosa ne penso io. Il capo è la vocina interiore.
Tutto il mondo è palcoscenico e il resto... è Vaudeville.

Quando udii l'astronomo acculturato,
quando dimostrazioni e cifre vennero incolonnate dinnanzi a me,
quando mi mostrarono carte e diagrammi per sommarle, dividerle e misurarle,
quando mi sedetti a udire il seminario dell'astronomo tra mille applausi in sala,
oh quanto presto mi stancai e stufai,
fino a che mi alzai e scivolai via scappando,
nella mistica aria notturna brumosa, e di quando in quando
rimirai in perfetto silenzio le stelle.

da “When I heard the learn'd astronomer” di Walt Whitman.

La probabilità che esca testa, nel lancio di una moneta, è 1/2 su n lanci, quindi il calcolo è una roba facile facile come 1/2^n: la probabilità di un evento semplice è data dal rapporto fra i casi favorevoli all'evento e i casi possibili.

Però il calcolo delle probabilità è una cosa un po' troppo complessa perchè io sia in grado di orientarmi nelle dinamiche che trovo più interessanti: non tanto le possibilità che verrà 6 in un lancio di dado, quanto più la probabilità che un dato spermatozoo, tra migliaia di milioni possibili, abbia fecondato in un dato momento un certo ovulo, tra i miliardi di ovuli possibili, e quell'unione abbia generato, tra sconfinati potenziali individui, proprio me.
L'universo è casuale, puro caos; particelle subatomiche in urto continuo e senza meta. Giusto? Le mie nozioni di fisica sono ridicolmente arretrate per poter anche solo pensare di commentare questi assunti.
Con una brutale semplificazione, è così che stanno le cose: questo ci insegna la scienza. Ma cosa ci viene davvero detto con "questo"?
Cosa possiamo dedurre dal fatto che una sera a caso, tra tutte le sere possibili, io mi trovi in un luogo preciso e incontri, in mezzo a tutte le conoscenze possibili, proprio quel dato individuo, che avrà il potere di “urtare” contro di me, scuotendo il mio moto discontinuo e imprevedibile, sbandando la sua stessa traiettoria e deviando dal punto a cui era destinato ad arrivare? Cosa significa, se non che la sorte della propria felicità è affidata ad una coincidenza assurda e improbabile... eppure così comune, dal momento che il mondo ne è letteralmente sommerso?
E cosa c'è di più vicino al concetto di infinito, se non questa magistrale improbabilità che penetra il nostro quotidiano senza che noi nemmeno ce ne accorgiamo?

Come può la mia felicità, il mio stesso futuro, essere influenzato solo da un incontro che era più probabile non fosse mai accaduto? Che ne è stato di tutti i potenziali incontri, possibili scosse alle fondamenta della mia esistenza poderose quanto lo è stata quella a cui prima mi riferivo, che sono andati persi in una vastità di coincidenze e meccanismi caotici? Rimpiangere simili eventi sarebbe come rimpiangere uno spermatozoo che ha perso la corsa. Eppure.
Eppure il mondo è un punto di vista e non un assoluto, perchè non sono capace di guardarlo collettivamente: macina senza sosta ogni direzione alternativa, manda in frantumi ogni legame umano trasognato o potenziale, in favore di un decorso cronologico che è uno e solo uno, e non potrebbe essere altrimenti. La discriminante tra vita e non-vita è una lunga, sterminata serie di coincidenze.

Quale artigiano governerà mai un mondo del genere? Con che spirito si potrà mai solo assistere alla creazione, negando al proprio meccanismo la minima opera manutentoria? Non siamo orologiai, e nemmeno rotelle dell'ingranaggio: siamo influenti come un granello di polvere sopra la lancetta dei secondi.
Mi piacerebbe che due o tre cose fossero andate diversamente, nel corso di quell'incontro casuale: cambiarne tempo, spazio o dinamiche avrebbe scatenato una reazione tanto diversa quanto è diverso il carbonio composto come grafite da quello composto come diamante.
Più ci penso, più mi viene da uscire di soppiatto dalla lezione di astronomia, come nella poesia di Walt Whitman.