martedì 22 maggio 2012

Natural Swagger


Gli ultimi giorni, qui alla BeBruceWillis Industries, sono stati interessanti: ad esempio, i miei impiegati si sono mobilitati per cercare di farmi scrivere qualcosa di serio e smetterla con questa barzelletta del blog.

Non ci sono riusciti.

E dunque ho pensato che mi occorresse un argomento non ancora trattato, una nuova tana del bianconiglio profonda abbastanza perchè valga la pena immergervisi a  parole. Certo, potrei fare la solita recensione e andremmo tutti a casa contenti; invece limiterò i riferimenti alla cultura pop al titolo del post, e mi accingerò a parlare di un tema che da tempo macina nella mia testolina senza molta definitezza, ma sul quale credo di avere due o tre cose sensate da dire: il rapporto tra i generi e la condizione delle donne nella società.

« No, ti prego! Piuttosto scrivi una recensione! The Cabin in the Woods è appena uscito al cinema! »
« Spiacente, a ‘sto giro si fa il pezzo femminista. Ma io non vi biasimo, lì c’è il telecomando... se cambiate canale non mi offendo. »

La voglia di scrivere due robe sull’argomento è nata da recenti considerazioni ed esperienze dirette: in particolare, mi sono trovato a riflettere sul fatto che essere una donna significa vivere con uno spettro potenziale di minacce e pericoli in modi di cui l’uomo, semplicemente, non ha esperienza.
So che non è una grande rivelazione e che non suonerà nuovo a nessuno, ma più ci penso e più mi convinco che sia la radice per spiegare un sacco di cose su come funzionano le relazioni sentimentali tra uomini e donne: in particolare, su come la pratica del... chiamiamola corteggiamento, seduzione oppure istintiva ricerca di un partner sia vissuta in modo diverso dalle due parti.

Per quanto si cerchi di separare l’esperienza quotidiana di una donna con i pericoli e le molestie dal semplice provarci con qualcuno in modo innocuo, dal flirtare, dal fare un complimento cavalleresco e dalla generale interazione maschio – femmina della vita di tutti i giorni, la dura verità è che proprio non si può, se si vuole fare un discorso serio ed equilibrato. Il 78% delle vittime di aggressioni o violenze sessuali sono donne, una donna su dodici è stata vittima di stalking nella sua vita, una su sei è stata aggredita o vittima di un tentativo di aggressione: questo è il rumore di fondo di cosa significhi essere una donna su base quotidiana ed è da qui che parte una donna quando reagisce all’interesse di un uomo nei suoi confronti.

Come si traduce tutto ciò nella vita reale?

Le istanze femministe non hanno rovinato il gioco tra sessi e castrato le possibilità o il ruolo maschile nella società, ma hanno risposto a sacrosante esigenze di parità di diritti. 
In sostanza, le donne vivono all’ombra di minacce potenziali proprio nell’ambito del rapporto tra generi e delle interazioni a finalità socio-sentimental-sessuale (bleah!); una donna deve sviluppare il suo senso di ragno nei confronti del prossimo. 
L’etichetta di “sospetto” e “rischioso” associata a un uomo sconosciuto che approccia una donna non deriva da pigrizia, senso di superiorità femminile nelle dinamiche sociali piuttosto che da una presunta naturale passività della donna nelle pratiche che riguardano la seduzione; dipende dal naturale, istintivo pensiero di una donna: “costui rappresenta una minaccia potenziale alla mia persona”.

È incredibilmente triste vivere in un mondo che impone simili condizioni e meccanismi preventivi di auto-difesa; ma sarebbe retorico, da parte mia, impostare la riflessione su toni alla “guarda quanto male c’è al mondo”. Ognuno dovrebbe parlare di ciò che conosce e della propria esperienza, più che tentare di indossare panni altrui: per questo devo confessare che, in quanto uomo, provo più che altro empatia e compassione per i miei compagni provvisti di pene. Il genere maschile trova spesso più difficoltà a venire a patti con rifiuto, frustrazione o con il sentirsi socialmente inadatti al gestire un approccio a scopo sentimental – sessuale.

Paura di un rifiuto, umiliazione, insuccesso e percezione incompleta della realtà sono le chiavi delle dinamiche tipiche del mio club di appartenenza: conosco questi elementi perchè li ho vissuti, e certamente li rivivrò in futuro. Ma, per la mia modesta esperienza sul campo, posso tentare di esaminare i diversi componenti della cosa e rispondere alla domanda di partenza: perchè gli uomini fanno quello che fanno? Dov’è la linea di separazione tra il provarci e il molestare? Di chi è l’utero?

Chissà, magari queste stronzate tornano utili a qualcuno e ci scappa una rubrica di posta del cuore. 


il mio coniglio invisibile minaccia le dimissioni


Per quanto sembri invitante etichettare tutti gli uomini da cui una donna si sia mai sentita minacciata o molestata come maniaci, la verità è che esiste una base comune di reazioni emotive talmente diffuse che nessuno può dire di non averne mai avuto esperienza: profonda insoddisfazione nella propria vita, frustrazione nata dal sentirsi autorizzato a fare qualcosa ma continuare a non ricevere riscontri positivi, e, principalmente, paura.

Di essere rifiutati.
Di non essere all’altezza delle aspettative.
Di restare soli.
Di non realizzare le proprie ambizioni.
E, più di ogni altra cosa, delle donne.
Si è spaventati proprio dalla cosa che si desidera di più: una bella donna. 

stanno venendo a prenderti

Eccitazione e paura spesso scatenano le stesse reazioni psico-fisiche: accelerazione del battito cardiaco, adrenalina, sudore, brividi. 
Una delle cose più strane dell’essere umani è che il corpo è schiavo del cervello: prima sentiamo l’effetto fisiologico, poi il cervello arriva a spiegarci il motivo. 
Panico improvviso: hai visto un velociraptor nell’erba alta oppure la donna dei tuoi sogni ti sta sorridendo? La ragazza con cui stai parlando sostiene il tuo sguardo per un istante più di quanto tu sia abituato: hai paura che stia per ferirti o rifiutare le tue avances oppure sei eccitato dall’intensità della sua espressione?

Spesso, questa roba del provarci con qualcuno, può diventare un confuso, debilitante e terrificante casino. Razionalmente, sappiamo che presentarsi ad una ragazza e cercare di convincerla ad iniziare una relazione (di qualunque tipo) non è esattamente rischioso. Tuttavia, ci troviamo ad avere una reazione a base di paura ed ansia al semplice atto di andare da qualcuno e parlarci. Perchè?

Beh... per via del potere.

Essere attratti da qualcuno significa cedere una certa quantità di potere su di noi. Quando si approccia una persona che si trova attraente, ci si sta deliberatamente rendendo vulnerabili. Stiamo chiedendo di dare un giudizio su di noi su qualcosa che pare trovarsi ad un livello intimo e personale, dunque stiamo conferendo al prossimo il potere di ferirci. E questo può essere maledettamente spaventoso.

Da qui la moltitudine di strategie ed approcci diretti, aggressivi, più o meno molesti, volgari o addirittura violenti che causano il grosso del disagio femminile in quest’ambito. Controllare la situazione, o pensare di farlo, attraverso la determinazione di uno status superiore ed uno inferiore che dovrebbe subire passivamente, è un modo per difendersi ed allontanarsi dalla propria intrinseca vulnerabilità.

Adesso, immaginiamo di essere ancora meno socialmente a nostro agio di quanto già siamo. Sappiamo di desiderare donne, belle donne possibilmente, ma per chissà quale ragione non sappiamo come comportarci per stabilire un contatto o iniziare una qualsiasi relazione. Ci buttiamo nella mischia, ci rendiamo vulnerabili... solo per essere rifiutati continuamente. Il rifiuto, come abbiamo già detto, ferisce sia a livello mentale sia a livello fisico. Istintivamente, siamo condotti ad evitare la reazione fisiologica di dolore che deriva dal rifiuto, e ciò che la provoca: letteralmente, scappiamo dalla paura di aver paura.

E come reagisce l’uomo alla paura? Uno dei modi più comuni è il buttarla fuori: la paura ci fa arrabbiare e scateniamo la nostra rabbia verso ciò che percepiamo essere la causa.
Tentiamo di ridimensionare questa causa, ridurla a qualcosa di inferiore e diverso. Trattare una donna come un numero, un trofeo da vincere o una nostra proprietà da poter reclamare quando vogliamo aiuta a farla diventare meno di una persona, o almeno meno di noi. 

In effetti, l’idea di donna - premio, piuttosto che di donna – “numero in una scala di valore” è così inscritta nella nostra cultura che quando siamo messi di fronte alla constatazione che la ragazza su cui abbiamo delle mire è in realtà un individuo con un’idea di vita e una serie di caratteristiche che la rendono compatibile o non con noi, la verità è così dura che ci sentiamo derubati di qualcosa che ci sarebbe dovuto. 


la principessa di Super Mario, la donna - premio definitiva

Rabbia e risentimento di un genere verso l’altro discendono – oltre che dagli elementi già discussi – anche da uno sbagliato e infondato senso di diritto, dall’idea che un riscontro positivo, di qualunque tipo, sia dovuto e che rifiutarlo, o peggio riservarlo ad altri, sia in qualche modo una violazione di un contratto sociale.

... e allora, che facciamo?

Già.

Sentite, ci sono passato. Ci ripasserò ancora. Sono stato intimidito e frustrato. Ma questo mi sembra un buon momento per citare Kevin Bacon.


Being a fucking waiter with no money, not a lot of drugs, just a mattress on the floor, and still being able to pull chicks. That’s when you separate the men from the boys.

E Kevin Bacon ha sempre ragione. Sempre.

In questo ambito più che in ogni altro c’è un disperato bisogno di forza di volontà per guardare avanti e coltivare la propria consapevolezza. È facile vomitare la propria rabbia ed aggredire il prossimo, mentre è difficile ammettere che forse, se non veniamo ricambiati, siamo noi quelli che lo stiamo facendo sbagliato. E che, magari, stiamo causando più dolore e disagio di quanto ne sentiamo addosso.

Parte del processo di diventare più bravo con le donne è capire che tu, e solo tu, sei responsabile della tua vita; lezione difficile da sentire, quando sembra che tutti gli altri ce l’abbiano più facile. Ma ci sono sempre. Ci saranno persone più interessanti, più fiche, più affascinanti e semplicemente più fortunate di te. La Juve vincerà sempre gli scudetti e l’Italia rimarrà sempre un Paese di destra e dannatamente cattolico. Ci saranno sempre i maniaci, gli stronzi e le brutte persone.

Non vuoi essere etichettato come “creepy”, come fastidio e disagio che una donna deve sopportare perchè è così radicato nella sua quotidianità da essere diventato rumore di fondo?
Comincia a passare più tempo a chiederti come hai fatto e fai stare le donne. Esamina il tuo comportamento e cambialo.

E, nella peggiore delle ipotesi, fai come lui. 



mercoledì 9 maggio 2012

Un lieto fine

Pre-scriptum: questo post non avrebbe il minimo senso se non fosse accompagnato dalla lettura - precedente o successiva, fate un pò voi, ma forse è meglio precedente – di quest’altra cosa. Si tratta di una lettera di ringraziamento scritta da Joss Whedon ai fan, ed è la mia ispirazione per la roba che ho scritto oggi. Per chi non c’ha testa di leggerla in inglese, qui è tradotta in italiano. 


Ciao a tutti.

Cioè, per tutti intendo “voi, che state leggendo”, non proprio tutti. Solo voi che siete qui.
Non dovrei scriverlo affatto, “tutti”. È un errore.  Perchè la maggior parte della gente, in questo momento, non sta leggendo. Ad essere onesti, la maggior parte della gente, in questo momento, si trova in Cina. Ve lo giuro, in Cina.

Anzi, mi sto sbagliando di nuovo. La maggior parte della gente non si trova in Cina. La maggior parte della gente è morta. Nel complesso di tutti gli individui di tutto il mondo, la grande maggioranza è già morta.
C’è un sacco di gente in più che è già morta rispetto a quella che ora è viva. Di fatto, una persona resta morta per un tempo decisamente superiore al tempo in cui è viva. Stiamo tutti per morire, siamo tutti in attesa di morire e resteremo morti per molto più di quanto siamo stati vivi. Essere morti è il grosso di quello che facciamo, e di fatto viviamo solo per un pochino. Quindi quando dico tutti, in teoria mi riferisco a tutti i morti e a tutti quelli che non lo sono ancora; ma l’insieme dei morti è più grosso, quindi perlopiù sto parlando con loro.

Davvero, un sacco di gente è morta: Socrate è morto, Adam Yauch ultimamente è morto, Hitler è morto, quel tipo che l’altro giorno ci ha provato con la mia ragazza... potrei andare avanti anni a farvi l’elenco.  Aspettate, forse quel tipo è ancora vivo. No, non Hitler, quello che ci ha provato con la mia ragazza. 
Beh peccato, è proprio vero che nella vita non si vede mai un lieto fine.

Esistono pochi lieti fine. Sono un evento raro, e quando se ne manifesta uno di fronte a me mi viene voglia di registrarlo mentalmente e provare a celebrarlo nell’unico modo in cui sono capace: su un blog. 
Che celebrazione del cazzo. Sono proprio una vittima di questo sistema che mercifica la letteratura e... 
ma sto divagando. Dove ero rimasto?
Lieti fine. Il prossimo weekend la juventus vincerà il suo ennesimo scudetto, e questo, dal mio punto di vista, rappresenta la pietra tombale definitiva sul concetto stesso di lieto fine. La mia povera città verrà infestata dalla più dannata e disgustosa comunità mai apparsa sulla faccia della terra, quel genere di razza appestata che ti fa desiderare di non essere mai nato.

Gli ebrei.

Eh? Cosa diavolo sto scrivendo??? Hitler, sei tu? Esci subito dal mio blog!

Naturalmente, mi riferivo agli juventini.

Il fatto Torino stia per diventare, di nuovo e chissà per quante altre volte in futuro, teatro di festeggiamenti e celebrazioni nei confronti di un’entità tanto intrinsecamente vile e maligna come è la Juventus mi mette i brividi, e affonda ogni mia speranza di vedere mai un lieto fine come si deve. Dalla mia prospettiva, la Juve è un pò la versione calcistica dell’Impero galattico di Guerre Stellari: sleale, potente e cattivo, senza grossi avversari ad opporsi alla sua avanzata se non un umile gruppo di disorganizzati Jedi in via di estinzione.

Consapevole di questo scenario, lo scorso weekend sentivo il bisogno di distrarmi  e di cercare da qualche parte un lieto fine che potesse soddisfarmi e farmi dimenticare che là fuori, ancora una volta, il male stava vincendo.
Di solito, quando ho bisogno di un lieto fine, leggo un fumetto di supereroi o guardo un film d’azione. Beh, la settimana scorsa ho avuto il culo di avere ha disposizione un film d’azione che, guardacaso, si è rivelato essere il miglior adattamento di sempre di un fumetto di supereroi: The Avengers.


Lettori, vi presento il miglior adattamento. Miglior adattamento, i lettori. 

Ecco, non esagero se dico che il lieto fine dentro – e dietro – questo film compensa per tutte le vittorie bianconere possibili e immaginabili.

Di fatto, il lieto fine anteriore, non interno al film è quello a cui attribuisco più valore, e decisamente ciò che più mi scalda il cuore: lo scrittore e regista di questo film, tal Joss Whedon, fino all’altra settimana era un poveraccio a cui hanno bocciato, cancellato e segato praticamente qualunque cosa abbia mai tentato di fare nel suo campo (cinema e televisione). È una persona profondamente innamorata di quello che fa, nonchè forse uno dei miei punti di riferimento e ispirazioni per quanto riguarda la mia personale visione dell’arte, al pari di gente come John Carpenter (sì, lo so, ne ho già parlato), George Orwell e Fabrizio De Andrè.

La trasmissione del verbo di ognuno di questi signori è il mio lieto fine quotidiano, e lo scorso fine-settimana il successo personale di Joss Whedon mi ha ispirato a dimenticare i lieti fine mancati nelle cose più serie nella mia vita: carriera, relazioni, gente che muore, juve che vince... in rigoroso ordine crescente di importanza.  

Forse quello che voglio dire, in ultima analisi, è che non c’è un motivo reale per cui io debba stare qui a scrivere. Non vi conosco, voi non mi conoscete e più o meno qualunque cosa esca da questa tastiera suonerà stupida alle orecchie degli altri. Nemmeno voi vi conoscete a vicenda, l’unica cosa che avete in comune è la vostra faccia indirizzata verso lo stesso oggetto: lo schermo di un computer. 
Quello, e il fatto che dovete morire.

Ed è così, signore e signori, che si scrive un lieto fine.