mercoledì 9 maggio 2012

Un lieto fine

Pre-scriptum: questo post non avrebbe il minimo senso se non fosse accompagnato dalla lettura - precedente o successiva, fate un pò voi, ma forse è meglio precedente – di quest’altra cosa. Si tratta di una lettera di ringraziamento scritta da Joss Whedon ai fan, ed è la mia ispirazione per la roba che ho scritto oggi. Per chi non c’ha testa di leggerla in inglese, qui è tradotta in italiano. 


Ciao a tutti.

Cioè, per tutti intendo “voi, che state leggendo”, non proprio tutti. Solo voi che siete qui.
Non dovrei scriverlo affatto, “tutti”. È un errore.  Perchè la maggior parte della gente, in questo momento, non sta leggendo. Ad essere onesti, la maggior parte della gente, in questo momento, si trova in Cina. Ve lo giuro, in Cina.

Anzi, mi sto sbagliando di nuovo. La maggior parte della gente non si trova in Cina. La maggior parte della gente è morta. Nel complesso di tutti gli individui di tutto il mondo, la grande maggioranza è già morta.
C’è un sacco di gente in più che è già morta rispetto a quella che ora è viva. Di fatto, una persona resta morta per un tempo decisamente superiore al tempo in cui è viva. Stiamo tutti per morire, siamo tutti in attesa di morire e resteremo morti per molto più di quanto siamo stati vivi. Essere morti è il grosso di quello che facciamo, e di fatto viviamo solo per un pochino. Quindi quando dico tutti, in teoria mi riferisco a tutti i morti e a tutti quelli che non lo sono ancora; ma l’insieme dei morti è più grosso, quindi perlopiù sto parlando con loro.

Davvero, un sacco di gente è morta: Socrate è morto, Adam Yauch ultimamente è morto, Hitler è morto, quel tipo che l’altro giorno ci ha provato con la mia ragazza... potrei andare avanti anni a farvi l’elenco.  Aspettate, forse quel tipo è ancora vivo. No, non Hitler, quello che ci ha provato con la mia ragazza. 
Beh peccato, è proprio vero che nella vita non si vede mai un lieto fine.

Esistono pochi lieti fine. Sono un evento raro, e quando se ne manifesta uno di fronte a me mi viene voglia di registrarlo mentalmente e provare a celebrarlo nell’unico modo in cui sono capace: su un blog. 
Che celebrazione del cazzo. Sono proprio una vittima di questo sistema che mercifica la letteratura e... 
ma sto divagando. Dove ero rimasto?
Lieti fine. Il prossimo weekend la juventus vincerà il suo ennesimo scudetto, e questo, dal mio punto di vista, rappresenta la pietra tombale definitiva sul concetto stesso di lieto fine. La mia povera città verrà infestata dalla più dannata e disgustosa comunità mai apparsa sulla faccia della terra, quel genere di razza appestata che ti fa desiderare di non essere mai nato.

Gli ebrei.

Eh? Cosa diavolo sto scrivendo??? Hitler, sei tu? Esci subito dal mio blog!

Naturalmente, mi riferivo agli juventini.

Il fatto Torino stia per diventare, di nuovo e chissà per quante altre volte in futuro, teatro di festeggiamenti e celebrazioni nei confronti di un’entità tanto intrinsecamente vile e maligna come è la Juventus mi mette i brividi, e affonda ogni mia speranza di vedere mai un lieto fine come si deve. Dalla mia prospettiva, la Juve è un pò la versione calcistica dell’Impero galattico di Guerre Stellari: sleale, potente e cattivo, senza grossi avversari ad opporsi alla sua avanzata se non un umile gruppo di disorganizzati Jedi in via di estinzione.

Consapevole di questo scenario, lo scorso weekend sentivo il bisogno di distrarmi  e di cercare da qualche parte un lieto fine che potesse soddisfarmi e farmi dimenticare che là fuori, ancora una volta, il male stava vincendo.
Di solito, quando ho bisogno di un lieto fine, leggo un fumetto di supereroi o guardo un film d’azione. Beh, la settimana scorsa ho avuto il culo di avere ha disposizione un film d’azione che, guardacaso, si è rivelato essere il miglior adattamento di sempre di un fumetto di supereroi: The Avengers.


Lettori, vi presento il miglior adattamento. Miglior adattamento, i lettori. 

Ecco, non esagero se dico che il lieto fine dentro – e dietro – questo film compensa per tutte le vittorie bianconere possibili e immaginabili.

Di fatto, il lieto fine anteriore, non interno al film è quello a cui attribuisco più valore, e decisamente ciò che più mi scalda il cuore: lo scrittore e regista di questo film, tal Joss Whedon, fino all’altra settimana era un poveraccio a cui hanno bocciato, cancellato e segato praticamente qualunque cosa abbia mai tentato di fare nel suo campo (cinema e televisione). È una persona profondamente innamorata di quello che fa, nonchè forse uno dei miei punti di riferimento e ispirazioni per quanto riguarda la mia personale visione dell’arte, al pari di gente come John Carpenter (sì, lo so, ne ho già parlato), George Orwell e Fabrizio De Andrè.

La trasmissione del verbo di ognuno di questi signori è il mio lieto fine quotidiano, e lo scorso fine-settimana il successo personale di Joss Whedon mi ha ispirato a dimenticare i lieti fine mancati nelle cose più serie nella mia vita: carriera, relazioni, gente che muore, juve che vince... in rigoroso ordine crescente di importanza.  

Forse quello che voglio dire, in ultima analisi, è che non c’è un motivo reale per cui io debba stare qui a scrivere. Non vi conosco, voi non mi conoscete e più o meno qualunque cosa esca da questa tastiera suonerà stupida alle orecchie degli altri. Nemmeno voi vi conoscete a vicenda, l’unica cosa che avete in comune è la vostra faccia indirizzata verso lo stesso oggetto: lo schermo di un computer. 
Quello, e il fatto che dovete morire.

Ed è così, signore e signori, che si scrive un lieto fine. 

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