sabato 8 ottobre 2011

Chi siamo, da dove veniamo, è pronto da mangiare?

Aspetto quel momento da sempre, ma quando ci sarò vicino dubito che mi troverò a dire «Finalmente!».
Il fatto è che la vita, per qualcuno che un giorno dovrà morire, non è facile. Mi capita di interrogarmi sul senso della mia angoscia verso un futuro, il mio, già in gran parte deciso: un periodo di tempo variabile e su cui non ho quasi controllo, poi un'eternità dentro una cassa sotto due metri di terra.
O forse all'interno di un vaso, con le sembianze di un mucchietto di cenere.
Non sono pronto a questo, ma non penso che lo sarò mai quindi tanto vale fermarsi un attimo e parlarne. Cosa vuol dire morire?

«Pulvis et umbra sumus, caduchi come foglie in autunno», direbbe qualcuno che ha frequentato le classi alte.
«Siamo piccoli, stupidi, incapaci e duriamo poco», direbbe qualcuno che ha frequentato le classi basse.
«Memento Mori è una massima di Sesto Properzio», direbbe qualcuno che non ha frequentato le classi.

I migliori sono sempre i primi ad andarsene, soprattutto se dall'altra parte li pagano meglio. Questa è una delle poche riflessioni che mi rassicura sulla mia probabile longevità.

Ho fatto davvero troppo poche cose nella vita per permettermi di pensare alla sua conclusione. Non ho mai montato la panna, per dirne una. Mai.

Trovo che i testi delle canzoni di Iggy Pop & The Stogees siano pieni di bellissime immagini e allo stesso tempo ricchi di un brillante senso dell'umorismo: in questo istante sto ascoltando “Search and Destroy” e il vecchio Iggy ha appena finito di cantare «I'm a streetwalking cheetah with a heart full of napalm», e se tutto questo non sembra aver nulla a che fare con la morte... è perchè non ne ha. È solo una bella immagine.
In fondo, una bella immagine è il massimo che possiamo permetterci, quando proviamo ad affrontare l'argomento.

Mi sento vecchio. Non vecchio, ma in qualche modo “già vissuto” e anche appena nato. Durerà a lungo? Diventerà più facile invecchiando? Queste domande hanno un senso per chi legge fuori contesto rispetto al rivolo di pensieri casuali di un cervello medio come il mio, oppure sono caotici come l'editoriale di un giornalista che oggi non sa come occupare le righe?
C'è un solo, autentico mistero nell'universo: i puzzle. Pensare allo spreco di interi pomeriggi, giornate, nottate passate ad incastrare frammenti di cielo, brandelli di monumenti celebri e schegge di panorami mi mette i brividi.
É terribile sacrificare tempo prezioso nella costruzione del mosaico che si ha di fronte a sé, per poi accorgersi che ci manca un tassello. In un'opera quasi completa, la prima cosa che salta all'occhio è proprio il buco. Nessuno mi conosce peggio di me stesso e comunque non mi piacciono i puzzle, io sono uno da Risiko.

Ho 22 anni. Quasi un quarto di secolo a parlare di cazzate autoindulgenti, di cui le righe qui sopra sono un rimarchevole esempio. Libri, compiti poco importanti da svolgere, compagnie più o meno interessanti e una cronica mancanza di ragazze. E ora? Che cosa mi/vi/ci aspetta? Non posso dirvelo, ma non è per aumentare la suspense e quindi le vendite.
Alcune cose, però, sono già decise: ad esempio, il protagonista del mio futuro sarò ancora io; non Batman, come voleva il caporedattore. Quanto al resto, ci stiamo lavorando. Manca ancora un po' di tempo, spero, all'ora X, e in quel tempo si possono fare un mucchio di cose: le ferie, per esempio.

In questo momento state leggendo. Chi vi dice che, invece di leggere, non avreste potuto pilotare un K66 a decollo verticale? Tutto è possibile e quasi tutto, per noi che possiamo permettercelo, è accessibile. La fetta di mondo nel quale vivo ha letteralmente la libertà di fare quello che vuole nella vita: nessuna grande guerra o grande crisi a bloccarci la strada, checché ne dica l'opposizione di sinistra.
Tutti moriamo, il punto non è questo. Il punto è provare a fare qualcosa che non sarà soggetto alle nostre stesse regole, qualcosa che non morirà mai; impresa praticamente impossibile, giusto Babbo Natale e i grandi artisti vi riescono. E sappiamo tutti che i grandi artisti non esistono.

Non si può pensare di scrivere una conclusione coerente per una pagina casuale: talvolta si scrive cercando di imitare la sincope ritmica degli eventi di una vita.
I meccanismi della casualità sono complicati a prima vista, ma in realtà piuttosto semplici: non ho mai sentito un essere umano venire al mondo dicendo «Tutto qui?», dunque presumo che l'esperienza del vivere sia qualcosa da farsi bastare, nella sua nebbiosa casualità. La vita dopo la morte, come la nebbia, si porta appresso il paradosso tautologico del “Se c'è, non si vede”, e come si fa allora a capire se c'è o non c'è, e quando arriverà?
Ed è poi così importante saperlo mentre si è ancora vivi? Se ci si riflette in modo razionale, il primo passo verso la vita eterna sta nel fatto che bisogna morire.
«Se prendiamo una linea temporale lunga abbastanza, il segmento della nostra durata nella storia si riduce a zero» diceva uno che, nemmeno fisicamente, somiglia molto a Schopenhauer.

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