In ogni trilogia che si rispetti, il terzo episodio è sempre il più brutto. E questa rubrica è ora giunta al suo terzo capitolo.
Per rispettare la suddetta legge universale, ho passato un pò di tempo a chiedermi quale poteva essere l'oggetto da recensire più adeguato a manifestare un senso generico di “bruttezza impellente”, e quasi subito mi si è palesata davanti la risposta.
Televisione.
Se cerchi qualcosa di brutto, novanta su cento è lì dentro.
La mia storia personale con la televisione è alquanto conflittuale. Da bambino sono cresciuto con una direzione morale precisa che mi impediva di guardare i canali mediaset: non un vero e proprio divieto, quanto più un'espressione di dissenso che la mia famiglia assumeva. Guardare un canale berlusconiano, a casa mia, era un po' come fumare una sigaretta: non certo illegale, ma nemmeno degno di approvazione.
Perciò, se mi veniva voglia di sbirciare una puntata di quel “Dragonball” di cui tutti gli altri bambini parlavano a scuola, dovevo farlo di nascosto.
Crescendo, questo divieto morale contro la mediaset si è attenuato; ma la stessa cosa è successa anche per il mio interesse verso “Dragonball”. Mi sono rapidamente reso conto che la televisione italiana è, molto sinteticamente, una noiosissima montagna di letame populista, dove giusto durante il tg di “Italia 1” si riesce a intravedere mezza tetta mentre nel resto del palinsesto dominano le moralette cattolico-perbeniste, la cronaca nera, i film con Steven Segal, le fiction parodiate da Boris e tutta questa specie di cose.
Ma nella stessa età in cui scemava il mio interesse per Dragonball, si innalzava la mia capacità di reperire con altri mezzi gli show televisivi che avrebbero potuto interessarmi. Nessuno dei quali, per inciso, era italiano: cosa avrei dovuto fare, impegnarmi per trovare su internet le repliche di “Ciao Darwin”?
Da un certo punto di vista, sono convinto che internet abbia liberato la televisione, l'abbia migliorata e spinto chi vi lavora ad impegnarsi per alzarne il livello. Il progresso qualitativo degli ultimi dieci anni di produzione televisiva americana è straordinario, e credo che l'esplosione di internet abbia avuto parecchio a che fare con questo cambiamento: se un canale satellitare per famiglie si permette di mandare in onda The Walking Dead ogni settimana, è anche grazie al download (legale ed illegale) che lo sostiene.
Questo discorso purtroppo è ristretto a ciò che conosco della televisione, ovvero il panorama di offerte che i canali satellitari americani garantiscono a chi sa come trovare ciò che gli interessa su internet, magari senza pagare troppo o senza pagare affatto. Per l'Italia, a mio parere, televisivamente parlando non c'è speranza o quasi: come in ogni altro ambito culturale e sociale, ci meritiamo quello che abbiamo e se è vero che dovremmo crescere come elettorato, dovremmo anche fuoriuscire dai sepolcri di immondizia sotto i quali, come pubblico televisivo, siamo seppelliti.
Ed anche per oggi ho fatto la mia tirata sinistroide. Dai dai dai che ce la giriamo (cit.)
Due o tre serie tv che mi hanno tenuto incollato allo schermo in questo paio di anni solari.
Mad Men
Il telefilm che più di ogni altro testimonia come sia possibile raggiungere un livello qualitativo straordinariamente alto, affrontare temi ambiziosi e complessi, raccontare un periodo storico in maniera tanto accurata quanto avvicente e far amare ogni secondo dello spettacolo. La storia della vita di Don Draper, pubblicitario newyorkese degli anni '60, e della compagnia per cui lavora; oltre ad aver inventato uno dei personaggi più affascinanti e complessi della storia della televisione, Mad Men è in grado di descrivere, attraverso le vicende dei suoi personaggi, l'evoluzione della società americana negli anni '60 e di presentare una ricostruzione storica che fa invidia a gran parte del cinema moderno.
Qui sotto, uno spot particolarmente ispirato.
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The Walking Dead
Impossibile, per un blog con questo titolo, non spendere due parole sul miglior ritorno degli zombie sullo schermo, televisivo o cinematografico che sia, da anni a questa parte. Il creatore della serie è Frank Darabont, celebrato regista americano famoso per robe quali “Le ali della Libertà” o “The Mist”, e il telefilm è tratto da una serie a fumetti a tema zombesco (o zombiesco? boh) che non si limita a far paura allo spettatore, ma si applica nell'approfondire ciò che accade all'umanità nelle sue condizioni più estreme, quasi apocalittiche.
Qui sotto, un trailer della seconda stagione (in onda tra un mese).
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American Dad!
Di recente ho letto un'espressione, nel parlare dei Simpsons (che vanno in onda ancora oggi ogni settimana), che trovo particolarmente azzeccata: “accanimento terapeutico”.
I Simpsons erano certamente influenti e provocatori un tempo, ma ora continuano stancamente senza avere davvero qualcosa di interessante da raccontare. “American Dad!” è un cartone animato che sembra replicare lo stesso format (famiglia media americana usata per fare satira sugli USA in generale), ma è più feroce, cinico, nichilista e dannatamente divertente di quanto i Simpsons siano mai stati.
Il creatore dello show, Seth McFarlane, è lo stesso che ha inventato i ben più apprezzati Griffin ed è la testimonianza vivente di come internet possa far sopravvivere una serie tv dichiaratamente anti-repubblicana in un canale iper-conservatore come la Fox. Chi ha il coraggio di fare trenta minuti di televisione in cui si mette in scena il Giudizio Universale come un film d'azione, o si fa un lungo numero musicale sul movimento gay di destra merita, da parte mia, credito illimitato.
Qua sotto 50 secondi sufficienti ad esprimere la genialità random di questo cartone.
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Community
Community è una delle pochissime cosiddette “sit-coms” che io abbia mai digerito. Ma il fatto è che non solo la digerisco perfettamente, bensì trovo che sia la singola cosa più divertente in tv in questo momento. Il fatto che sia molto poco seguita e rischi ogni anno di essere cancellata per gli ascolti troppo bassi è semplicemente una conferma della sua qualità. Gli episodi girano intorno alla vita quotidiana di un gruppo di studio in un Community College americano, lo stereotipo dell'università pubblica di livello molto basso dove per 5 crediti si può frequentare un corso di vela su una barca ferma dentro un parcheggio. L'enorme virtù di Community risiede nel suo rimescolare la cultura pop e prendersi in giro da sola in modo quasi meta-televisivo (la prima e ultima volta che userò questa parola nella mia vita, promesso).
Nel cast spiccano uno dei miei esseri umani di sesso femminile preferiti al mondo, di nome Alison Brie, e un attore leggendario come Chevy Chase.
In basso, una delle molte scenette completamente improvvisate che contraddistinguono la serie.
Non per fare il "bastian contrario"(cit. mia nonna) ma tutte le serie da te proposte ad esempio sono regolarmente trasmesse anche in Italia ;) E abbasili questi toni, che poi tu di dragonball sei cintura nera Deiv! ;)
RispondiEliminati rispondo così:
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=tJvHrx1X-Gk&feature=player_embedded